Adriano Aiello, opinioni di un “Clown”.
Ho incontrato Adriano Aiello quest’estate, per caso, in coda alle Ciminiere per assistere ad uno spettacolo: l’amica attrice con cui mi accompagno me lo presenta, elencando copiosamente e concludendolo in un “etc…etc..” tutti i pregi di questo ragazzo affascinante con evidente inclinazione al rossore. Noto le sue mani: sono eleganti e comunicative e non si muovono a caso.
Adriano è un attore, ma di un tipo particolare: lui è un “Clown” di particolare bravura. Il suo amore per la recitazione, ad un certo momento della sua carriera, assume un atteggiamento di traduzione verso un’esigenza diversa, quella di far ridere rivestendo la maschera del clown, per letteratura, “la maschera” assoluta, quella che moltiplica in infiniti riflessi i tentativi di dover essere qualcosa di diverso per trasfigurare il proprio vero sé. Preannunciate da un sonoro click, nella mia mente cominciano ad essere recuperate in un velocissimo viaggio a ritroso tutte le immagini note dei clown della mia infanzia: primo fra tutti, Button il clown del film “Il più grande spettacolo del mondo” (1952, premio Oscar per soggetto e miglior film nel ’53) di Cecile B. De Mille interpretato da James Stewart; poi, i pagliacci dei circhi da piccina, che distraevano gli spettatori dai cambi di scena. Mi facevano ridere i fiori all’occhiello che spruzzavano acqua e le automobili che camminavano perdendo pezzi. Button, il clown mi fa ancora commuovere; forse i pagliacci del circo oggi mi fanno ridere un po’ meno, ma in ogni caso anche da bambina istintivamente mi veniva d’indagare cosa si celasse dietro quella maschera bizzarra e carica di trucco.
Seguì un tempo in cui il clown sembrò essere diventato “ancien”; e il tempo in cui i bambini ne ebbero nuovamente bisogno…Adriano Aiello nasce col cabaret, decide di studiare recitazione e si iscrive ad un corso proposto dal “Teatro degli Specchi”; viene notato da Gianni Salvo del Piccolo Teatro della Città di Catania; entra nella compagnia di Gugliemo Ferro con cui si esibisce negli ambienti più improbabili come il quartiere di San Berillo, le gole dell’Al-Kantara, le cucine dei Benedettini. Fonda l’Associazione “Teatrimpossibili” con cui organizza lavori d’impatto interessante, quali “Sogno o son pesto” e “L’istruttoria” per la regia di Gianpaolo Romania. Studia e lavora, Adriano, assolutamente consapevole dell’importanza del confronto e del desiderio di esprimere se stesso. Lavora con Dario Fò nella sua edizione de “Il Barbiere di Siviglia” dando all’allestimento (che come affermava lo stesso Fò, era come la musica di Rossini, “ricco di spezie e di aromi”) un contributo personale ricco di efficace originalità.
Quella del “pagliaccio”, qual tipo di scelta artistica è? Si potrebbe definire una delle voci del pardigma dell’attore?
E’ la scelta di donare qualche ora di svago puro, libero, semplice che viene dalla convinzione che una risata vera migliora la vita e avvicina le persone…si ride insieme, si piange da soli. Si certo che lo è! ti dico di più: noi pensiamo quando diciamo pagliaccio “all’Augusto”, cioè al pagliaccio scarpe grandi e naso rosso pasticcione, ma i clown non nascono così: nascono come clown bianchi, costumi scintillanti, trucco bianco accentuato un sopracciglio molto evidente. Erano bravissimi e sapevano far tutto ma ad un certo punto perdono la loro umanità e in quel momento entra in scena l’ Augusto…una storia/leggenda che ha ripreso e raccontato bene il più grande di tutti, Charlie Chaplin nel suo film “il Circo”. Il mio spettacolo, “il Circo” per la regia di David Larible è un omaggio a tutto questo mondo fantastico!
Quando Adriano Aiello ha deciso di percorrere questa strada?
Ho deciso di percorrere questa strada dopo averne percorse parecchie nel mondo della comicità, come ad esempio i laboratori Zelig, il cabaret in generale; ma l’arte clownesca mi rende felice in scena e nella vita perché è per tutti, è semplice: quando vedo ai miei spettacoli papà, bimbo e nonno ridere della stessa cosa beh…il cuore mi si riempie di gioia.
Chi è Adriano Aiello? Chè studi ha fatto?
Mi chiedi chi sono? una persona che ama profondamente la vita, che ama il sorriso e ridere di se stesso perché si ride per sempre come diceva il santo Tommaso Moro, e che crede che la risata può essere davvero terapeutica se è vera, naturale. Si può vivere col sorriso sulla bocca ringraziando per ogni attimo di vita che ti è stato donato o continuamente insoddisfatti per quello che non si ha; a noi la scelta di capire dove sta la vera felicità.
Sono un farmacista che si è innamorato dell’arte dell’attore in genere e di quella clownesca in particolare, così a poco a poco sono andato a studiare dai più grandi perché se hai passione per qualcosa è li che devi andare fino ad arrivare al clown vivente più bravo al mondo, David Larible che è il mio maestro e adesso uno dei miei più cari amici. Poi chiaramente ho studiato molto il teatro fisico con Le Breton ad esempio, Enrico Bonavera (Arlecchino in “Arlecchino servitore di due padroni”) e tanti altri. Lv ‘arte recitativa nella sue sfaccettature è magica perché ti permette di donare le tue emozioni.
Se non fosse diventato un artista, cos’altro sarebbe stato?
Io sono un clown non faccio il clown…è diverso
Perche i pagliacci sono tanto amati dai bambini?
I bimbi amano i pagliacci perché li riconoscono e viceversa, il simile riconosce il simile, è una legge di natura fisica e chimica. Noi adulti ridiamo spesso delle cose sconclusionate che dicono o fanno i bimbi vero? perché? perché ci danno quel senso di libertà, quell’essere fuori dagli schemi da costrizioni mentali o barriere psicologiche. I clown sono così…il simile riconosce il simile
Il pagliaccio è un personaggio versatile, ricorrente in forme diverse in opere e letteratura: I Pagliacci di Mascagni; Il pagliaccio cattivo di Batman; il pagliaccio in cui si rifugia James Stewart in “Lo spettacolo più bello del mondo”; perchè evoca tante fantasie diverse?
Dici bene evoca tante fantasie diverse per un motivo, il clown svela una verità dell’essere umano, qualunque essa sia. Paradossalmente lui che ha sempre una maschera è il più vero di tutti e non mente, neanche la sua maschera mente rispetto invece a quella che ogni giorno indossa ogni essere umano, altrimenti, il clown non sarebbe credibile, fallirebbe.
Patch Adams ha dato al ruolo del pagliaccio forse le connotazioni più auliche, sperimentandone la presenza fra i malati più piccoli: qual è la sua visione ?
Conosco Patch personalmente, mi son formato con lui, ho lavorato con lui quando ho deciso di mettere a disposizione quello che sapevo fare. Mi sono guardato allo specchio e mi son detto ” ok Adriano, cosa sai fare?”. Lo specchio mi ha risposto “il cretino”, mi sono offeso ” ehi…io sono cretino mica lo faccio!”. E così ho risposto ad una lettera che mi era arrivata in maniera inaspettata da un’associazione…da li ho cominciato il mio percorso in ospedale ed anche li…sono andato da chi ha inventato tutto questo, un uomo meraviglioso con un’energia da paura e ho fatto mio il suo pensiero rielaborandolo chiaramente. Una risata vera in alcuni reparti non avete idea di quanto sollievo può procurare ai piccoli e alle loro famiglie.
Per Adriano Aiello, quello dell’artista pagliaccio è solo una professione, oppure anche un mondo in cui rifugiarsi all’occorrenza? Come si dice? “Ridere soprattutto o ridere, malgrado tutto!”
Beh, io condivido sempre questo mio pensiero con tutti: nelle scuole quando mi invitano a parlare ai ragazzi che hanno un immenso bisogno di ascoltare parole di vita vera, quando tengo corsi di clownerie teatrale e teatro fisico o corsi per i nuovi in ospedale ” la risata distrugge il potere distruttivo della sconfitta”. Quando tu riesci a ridere di qualcosa che ti ha fatto male, che ti ha ferito nel profondo, quella cosa non potrà più toccarti, non potrà più ferirti… una figata vero? Solo che per arrivarci… ahahaha
Originale a firma Claudia Lo Presti pubblicato su Metroct.it
Foto: Nicolò Parasole