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Davide Larible, Il clown dei clown


Davide Larible, Il clown dei clown
Prima nazionale al Teatro Vittoria
Roma dall’8 al 27 febbraio 2011

Il sipario si apre sulla scena che contiene l’intero fraseggio della tradizione circense: lo specchio sul   tavolino,  i trucchi per il viso, le maschere, gli abiti scintillanti, un pianoforte e tanti altri strumenti musicali. Le luci soffuse rendono sognante l’atmosfera della scena inondata di fumo. Il tempo è sospeso come in un incantesimo, in un viaggio nei secoli. C’è il clown bianco Gensi, interpretato da Estephan Kunz: ha il volto truccato in coerenza con il nome della sua figura, ha il portamento elegante e austero che la tradizione richiede.

Un musicista, seduto al piano, dà inizio alla musica, il clown bianco accompagna il pianista usando una  lunga sega. Chi potrebbe mai pensare che quest’ultima, piegata in un particolare modo, possa produrre suoni tanto armonici. Ma i clown hanno il potere di dare anima agli oggetti, di far scaturire da essi cose impensabili per noi.

In scena arriva un nuovo personaggio: è lui, David Larible, nei panni di un uomo delle pulizie un po’ sprovveduto e impacciato, che con la sua presenza disturba l’esecuzione musicale del clown bianco.

Comincia a delinearsi il rapporto contrastato tra il clown bianco e quello che tra breve diverrà il clown augusto. L’uomo delle pulizie, incantato dagli oggetti posti in scena, desidera prendere parte a quel magico mondo. Ogni qual volta questi rimane solo sulla scena lontano dallo sguardo severo del clown bianco, tenta di suonare uno strumento, ma non appena Gensi ricompare glielo sottrae. Alla fine, non trovando più nulla da suonare, il nostro personaggio utilizza una minuscola fisarmonica che nasconde in bocca, ma i tentativi del clown bianco di impedirglielo fanno si che la inghiotta. Assistiamo così alla prima esplicita citazione all’universo chapliniano con Larible che singhiozza a suon di fisarmonica, come Chaplin singhiozzava a suon di fischietto in Luci della città.

Di nuovo solo sulla scena, Larible dà inizio a giochi di prestigio eseguiti con oggetti invisibili e sostenuti dalla sua mimica eccezionale e con la collaborazione di una persona del pubblico. Il nostro uomo delle pulizie ha deciso che vuole essere un vero clown augusto, ma perché ciò sia possibile deve dimostrare a Gensi di possedere doti istrioniche e capacità di far ridere. Assistiamo dunque ad un rito di iniziazione e, nonostante le perplessità del clown bianco, la vestizione di Larible in vero e proprio clown augusto può avere inizio. E così, Larible si siede al tavolino da trucco e, sulle note di Vesti la giubba celeberrima aria dell’opera Pagliacci eseguita da Gensi, si trasforma sotto i nostri occhi: naso rosso, volto truccato, cappello, abiti larghi e stravaganti, scarpe grosse. L’atmosfera ha un doppio risvolto: sembra dirci che far ridere è una necessità interiore per chi ha questo dono, ma che se non può esprimersi si tramuta in tristezza.

Termina così la prima fase dello spettacolo e ha inizio quella in cui l’interazione con il pubblico diviene preponderante. La padronanza del palcoscenico e la conoscenza di tutti gli aspetti dello spettacolo emergono in questa fase in cui Larible non ha problemi a coinvolgere anche bambini riuscendo a metterli a proprio agio e a coinvolgerli in gag che hanno la semplicità delle cose complesse.

Arriva il momento in cui Larible ci offre un assolo poetico. Il sipario si chiude e lui è sul proscenio. Le luci si abbassano e appare un occhio di bue. Larible inizia una divertente lotta con la luce, cerca di allontanarla da sé spingendola via, ma lei ritorna. Ora Larible gioca con lei, come con una palla, impossibile non ravvisare nei movimenti una esatta riproduzione di quelli eseguiti da Chaplin nel momento in cui, ne Il dittatore, gioca con il mappamondo. Il numero si chiude con Larible che cattura la luce facendola cadere in un secchio.

Lo spettacolo prosegue con il coinvolgimento di pubblico adulto e più giovane, in gruppo sul palcoscenico. In queste circostanze, Larible dimostra di avere una profonda capacità di gestire l’imprevisto e l’improvviso, portando le persone, non abituate alla scena, a eseguire interpretazioni  che queste non sapevano di poter realizzare.

Larible riesce a far si che ciascuno dei prescelti prenda una campanella (nonostante le raccomandazioni del clown bianco di non toccarle) e la suoni, al suo cenno, seguendo la musica del pianoforte. La performance si arricchisce quando Larible affida agli improvvisati collaboratori strumenti diversi, insoliti e stravaganti, divenendo il direttore della particolare orchestra di  elementi grotteschi, con grande partecipazione del  pubblico. Il senso dello spettacolo sembra essere proprio questo: il passaggio, visibile sotto ai nostri occhi, da situazioni normali a situazioni eccezionali.

E ancora Larible coinvolge tre giovani del pubblico e impartendo loro alcune raccomandazioni riesce a far mimare loro, con la bocca, il canto e con i gesti le passioni e i sentimenti di alcune arie di lirica animando una sorta di teatrino di marionette viventi in cui lui è il marionettista che muove i fili invisibili delle persone.

Lo spettacolo sta finendo. Il clown augusto ha terminato il suo tempo, deve tornare ad essere un uomo delle pulizie. C’è tristezza nell’aria. Il clown bianco è in scena e assiste alla svestizione del clown augusto.

Nei movimenti che Larible compie, nello struccarsi, nel guardarsi allo specchio con malinconia, la nostra memoria vola alla scena di Luci della ribalta, in cui Chaplin/Calvero si guarda allo specchio e si strucca il volto con uno sguardo di disperazione. Disperazione nata in quest’ultimo caso per la perduta capacità di far ridere, per il nostro clown augusto perché sembra che il mondo non voglia ridere più.

Ma ecco che il clown bianco inizia a suonare e a cantare la canzone di Charles Chaplin con cui termina il suo film Tempi moderni. Il clown augusto ha ormai ripreso i suoi abiti consueti, è triste e sconsolato, ma, è proprio il clown bianco che, abbandonata la tradizionale veste di severità, si avvicina a lui facendogli capire che non tutto è perduto, basta sorridere. E così, con il sorriso e sottobraccio, proprio come nel finale del film, Gensi e Larible lasciano insieme il palcoscenico, dando le spalle al pubblico, perché il sorriso va oltre lo spettacolo, perché se si sorride nella vita ci sarà desiderio di sorridere anche a teatro.

Quando il sipario si chiude Larible, ormai senza abiti di scena, torna sul palcoscenico per salutare il pubblico di Roma, capitale del suo paese di origine e insieme a Gensi canta la canzone Quanto t’ho amato di Nicola Piovani. Un tributo d’amore per il nostro paese e per un mondo pieno di magia, di musica e di sentimenti in cui le parole non contano.

Roberta d’Errico